Prima ancora di essere un lavoro teatrale, Femmina è un gesto. Un gesto forte ed affascinante, un gesto d’eleganza, un equilibrio di intensità, che sono cercati e trovati all’interno di un lavoro in cui ognuno cerca di trovare la sua collocazione, di definirla, di garantirla, di concretizzarla. Lo spazio organizzato così come lo vediamo, non dà indicazioni specifiche di tempo e luogo, non fa altro che indicare alcune delle numerose varianti del possibile, che è il repertorio teatrale in quanto tale. In questo senso si potrebbe rappresentare Sofocle o Euripide, Cechov o Tennessee Williams e ciò non avrebbe un’importanza reale: si percepisce bene che l’interesse di Riccardo Vannuccini DP non consiste nella possibilità di trascrivere un testo alla scena, ma piuttosto di assicurarsi la massima compatibilità delle circolazioni. Circolazione, dapprima tra spazio e attori, in seguito, tra scena e pubblico.
E’ dunque questo filo leggero, eppure tenuto, che lega gli uni agli altri gli elementi della trasmissione: parole e gesti manifestano, così, la loro forza tranquilla attraverso il loro stile, attraverso la effettuazione; sorge una dolcezza fondante nel momento in cui ciò avviene.
Di seguito il resto della recensione e il testo originale in francese
Questo teatro arriva alla sua forma poetica attraverso la sottrazione di elementi caratteristici: non è un dramma, non sono necessariamente degli attori, e pertanto sentiamo intensamente che la potenziale essenza tragica di questo teatro ha come depassato la soglia della sua realtà, per arrivare ad un’espressione più tranquilla e convenzionale della sua materia teatrale.
Non sono degli attori nel senso che abitualmente si dà alle parole che designano questa funzione, e pertanto tutti riescono a dare impulso a questa convinzione profonda di essere là, in quel qualcosa che diventa essenziale nel momento stesso della sua realizzazione.
Attraverso gli strumenti particolari dell’atto teatrale, Vannuccini DP tenta di rivelare e ridefinire il teatro come il luogo specifico di uno spazio comune a tutti coloro che vi si trovano, che lo elaborano seguendo delle linee proprie e tuttavia comuni.
E’ allora che il teatro diventa non una comunione né una comunità, ma un luogo comune a tutti, un luogo di condivisione, in cui la possibilità data a ognuno di esprimere una individualità singolare non esclude mai ciò che gli fa fronte, non si trasforma mai in “esclusività”, in negazione.
Il titolo adottato per questo lavoro, Femmina, evoca una riflessione che non è colta né nell’attualità mediatica né nelle reti della comunicazione: è il richiamo di una modalità che all’inizio è sempre stata espressa dal teatro, dalla drammaturgia antica, che coglie all’interno della sua determinazione le ragioni di una riflessione costante eppure nuova.
Gli attori non sono più i luoghi, i topoi, in cui si annodano e si sciolgono le tragedie e i drammi, ma i dominatori comuni di equilibri e di scambi: bellezza semplice e modesta di questi passaggi che, simile ad una conversazione, sostengono la circolazione delle parole e dei gesti, sottolineata, nelle tappe successive, dalle belle invenzioni sceniche di Riccardo Vannuccini, attore tra gli altri, che riacciuffa le situazioni e le rilancia sull’idea-realtà di un magnifico tappeto, vero protagonista del luogo scenico, da cui tutto vola via come su un tappeto volante.
Questi risultati sono probabilmente il frutto di un lungo lavoro di riflessione sul teatro come luogo impossibile da afferrare nella sua essenza se non si apre a qualcosa che lo rinnova per il fatto stesso che ingloba nella sua struttura tutto ciò che circola intorno ad esso: il teatro non è e non è più il luogo chiuso dove far accadere un dramma antico o sorpassato, già scritto, ma un accampamento aperto dove bivaccano incroci di percorsi inediti, forse straordinari, dove passano il tempo e lo spazio dei momenti delle nostre eventualità.
Il singolarissimo nome di “Cane pezzato”, che è quello della Compagnia di Vannuccini, rivela perfettamente questi frammenti e queste scene che si incrociano armonicamente tra loro, si fondono in una unità momentanea per raccontarci le possibilità infinite di concatenazioni e di linee di fuga che ci fanno essere tutti, attori e spettatori di momenti quotidiani e straordinari della nostra esistenza.
JEAN PAUL MANGANARO
Avant même d’être un travail théâtral, Femmina est un geste. Un geste fort et éblouissant, un geste d’élégance, un équilibre d’intensités, qui sont cherchés et trouvés à l’intérieur d’un travail où chacun essaie de trouver sa place, de la définir, de l’assurer, de la concrétiser. L’espace organisé tel qu’on le voit ne donne pas d’indications spécifiques de temps ou de lieu, il ne fait qu’indiquer quelques-unes des nombreuses possibilités du « vaste » qui est le répertoire théâtral en tant que tel. En ce sens, on pourrait y jouer Sophocle ou Euripide, Tchekhov ou Tennessee Williams, cela n’aurait pas une importance réelle : on perçoit bien que l’intérêt du travail de Riccardo Vannuccini DP ne réside pas dans la possibilité de transcrire un texte à la scène, mais plutôt de s’assurer de la plus grande compatibilité des circulations. Circulation d’abord entre logistiques et acteurs ; circulation, ensuite, entre scène et public. C’est donc ce fil, léger, ténu, qui lie les uns aux autres les éléments de transmission : paroles et gestes manifestent, du coup, leur force tranquille par leur diction, par leur effectuation ; surgit une douceur fondatrice au moment où cela advient. Ce théâtre aboutit à sa forme poétique par soustraction d’éléments caractéristiques : ce n’est pas un drame, ce ne sont pas forcément des acteurs, et pourtant nous sentons avec acuité que sa potentielle essence tragique a comme dépassé le seuil de sa réalité pour aboutir à une expression plus tranquille et conversationnelle de sa matière. Ce ne sont pas des acteurs au sens que l’on donne habituellement aux mots désignant cette fonction, et pourtant tous parviennent à impulser cette conviction profonde d’être là, dans ce quelque chose qui devient essentiel au moment même de sa réalisation. À travers les outils particuliers de l’acte théâtral, Vannuccini tente de révéler et de redéfinir le théâtre comme le lieu spécifique d’un espace commun à tous ceux qui s’y trouvent, qui l’élaborent suivant des lignes propres et néanmoins communes.
C’est alors que ce théâtre devient non pas une communion ni une communauté, mais un lieu commun à tous, un lieu en partage, où la possibilité laissée à chacun d’exprimer une individualité singulière n’exclut jamais ce qui lui fait face, ne se transforme jamais en « exclusivité », en négation. Le titre adopté pour ce travail, Femmina, évoque une réflexion qui n’est saisie ni dans l’actualité médiatique ni dans les rets de la communication : c’est le rappel d’une modalité qui a toujours été exprimée d’abord par le théâtre, par la dramaturgie ancienne, et qui perçoit à l’intérieur de sa détermination les raisons d’une réflexion constante et pourtant nouvelle.
Les acteurs ne sont plus les lieux, les topoi, où se nouent et se défont les tragédies et les drames, mais les dénominateurs communs d’équilibres et d’échanges : beauté simple et modeste de ces passages qui, telle une conversation, soutiennent la circulation des propos et des gestes, soulignée, par étapes successives, par les belles interventions scéniques de Riccardo Vannuccini DP, acteur parmi les autres, qui rattrape les situations et les relance sur l’idée-réalité d’un magnifique tapis, véritable protagoniste du lieu scénique, d’où tout s’envole comme sur un tapis volant. Ces résultats sont sans doute le fruit d’un long travail de réflexion sur le théâtre comme lieu impossible à saisir dans son essence si on ne l’ouvre pas à quelque chose qui le renouvelle du fait même qu’il englobe dans sa structure tout ce qui circule autour de lui : le théâtre n’est pas, n’est plus, le lieu clos où faire advenir un drame antique ou dépassé, déjà écrit, mais un campement ouvert où bivouaquent des croisements de parcours inédits, peut-être inouïs, où passent le temps et l’espace des moments de nos éventualités.
Le nom très singulier de « Cane pezzato », qui est celui de la Compagnie de Vannuccini, révèle parfaitement ces fragments et ces pièces qui entre elles se croisent harmoniquement, se fondent dans une unité momentanée pour nous raconter les possibilités infinies des agencements et des lignes de fuite qui nous constituent, tous, acteurs et spectateurs de moments ordinaires et extraordinaires.
Jean-Paul Manganaro
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