Pubblicato il 30/10/2009 su www.mpnews.it
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Di Ylenia Sina
Femmina F è un luogo di passaggio e un incontro avvenuto per caso tra Oriente e Occidente. La storia di uno sgombero di una casa situata su un confine in permanente definizione. Gli abitanti del palazzo, quattro donne e tre uomini, costruiscono e reinventano di continuo lo spazio della scena: tavoli per cene solitarie che diventano letti su cui riversare tutti i propri pensieri, gabbie in cui srotolare sogni mancati, trampolini per raggiungere terre lontane. Nello spazio sono disseminate tante sedie come dimore momentanee da cui partire per raccontare i propri viaggi o ostacoli in cui inciampare per esplorare tutto ciò che non è scritto sul copione. Lo spettacolo, in programma fino al 24 ottobre al Lanificio 159 di via di Pietralata, è inserito all’interno del Festival Vulnerabile, rassegna di teatro sociale organizzata dall’associazione culturale Artestudio. In scena la compagnia multietnica “Cane Pezzato”. Nata nel 2005 vede alternarsi al suo interno migranti, attori italiani e rom, rifugiati politici, malati in cura presso centri di igiene mentale, carcerati. Quasi tutti non-attori conosciuti nei luoghi “margine” dove Artestudio lavora «perché il teatro per sua natura accetta l’imperfetto, la prova, la variazione» spiega Riccardo Vannuccini Della Pietra regista, attore e direttore artistico di Artestudio. «Spesso è proprio la condizione “fuori-posto” del cittadino debole che apre la possibilità di indirizzare diversamente le cose e, di conseguenza, arricchire tutta la società». Femmina F si presenta come una versione laboratoriale che sfrutta la precarietà della sua trama per ripresentare allo spettatore i caratteri femminili dello YIN opposti a quello maschili dello YANG: il conservativo rispetto al dissipativo, l’intuitivo rispetto al razionale. Il percorso che porta allo spettacolo si serve delle parole di poetesse e filosofe, tra cui Antonia Pozzi e Adriana Cavarero, per richiamare l’attenzione sul fatto che da troppo tempo la società occidentale, lineare e meccanicistica, si è sbilanciata da una sola parte. Così, tra tavoli, specchi e valige di cartone, quattro donne, sorelle o streghe, sfuggono di continuo all’occhio vigile del soldato-clown che batte a ritmo marziale i tasti della sua macchina da scrivere per annotare tutto ciò che riesce a vedere. Quattro donne che si sostengono le une con le altre in un gioco di complicità quasi impercettibile e si abbandonano a ricordi di amori passati sussurrati con labbra dipinte da rossetti sbiaditi. Femmina F è un canto che si alza dal fondo della scena di donne che ballano in cerchio. E più il vortice della danza fa volare le gonne leggere e i cappotti troppo larghi più la forza si rinnova e il ritornello riparte, rendendo secondaria la preghiera lineare e cupa del guardiano del palazzo. Ma la contrapposizione tra i due mondi non è ben definita: «Femmina F è una riflessione che sfugge al calcolo economico delle conclusioni e delle interpretazioni» spiega il regista. «È un teatro che non domanda “Cosa significa” ma “Cosa accade”, che interroga la vita e ne crea. Un luogo protetto nel quale sono possibili anche le cose che non funzionano. Vulnerabile, come il titolo di questo festival, come l’essere umano nella sua unicità quando si apre alle relazioni con gli altri».
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